martedì 30 aprile 2013

Giappone, l'Abenomics funziona: disoccupazione ai minimi e spesa delle famiglie al top da nove anni

di Vito LopsCronologia L'Abenomics giapponese funziona. Lo raccontano i numeri: a marzo la disoccupazione in Giappone è calata al 4,1% (rispetto al 4,3% atteso) mentre la spesa delle famiglie è aumentata del 5,2% (rispetto all'1,8% atteso). Per i consumi interni si tratta dello scatto più veloce dal febbraio 2004 ed è il segnale - a detta degli esperti - che il mix di stimolo fiscale e monetario applicato dal Giappone (sotto il benestare del primo ministro Shinzo Abe) sta portando i suoi frutti. Il 4 aprile la Bank of Japan ha lanciato un piano di aumento della base monetaria di 1.400 miliardi di dollari in due anni per rilanciare l'inflazione con obiettivo 2 per cento. Stimoli che evidentemente stanno facendo lievitare la fiducie delle famiglie, come evidenzia il dato sulla spesa mai così alto negli ultimi nove anni. Secondo un funzionario governativo nel primo trimestre dell'anno l'economia giapponese potrebbe crescere del 2% (su base annua). Se a questo dato si aggiunge che da novembre la Borsa di Tokyo ha guadagnato il 50% (l'11,3% solo nel mese di aprile nonstante il calo dello 0,2% accusato oggi) complice la caduta dello yen sul dollaro ai minimi da quattro anni, pare proprio che la "Abenomics", almeno nel breve periodo, stia vincendo la scommessa con la crescita. Quanto alla Borsa di Tokyo c'è chi, nonostante il forte scatto, mantiene l'ottimismo: «Non abbiamo alcuna intenzione di cambiare la nostra view positiva sul Giappone. Il governo Abe sta ottenendo i primi risultati e riteniamo che saranno annunciate ulteriori riforme strutturali dopo le elezioni alla Camera alta di luglio, che con ogni probabilità porteranno a una vittoria dell'Ldp in grado di consolidare il potere politico del governo Abe - spiega gli esperti di Ing investment management -. In questo scenario, ci aspettiamo inoltre una forte crescita degli utili (superiore al 40%) per l'anno in corso (10 volte il livello di crescita atteso per le società europee). Sulla base di tali dati, il rapporto prezzo/utili forward per il 2013 scende a 12,6, mentre il premio al rischio azionario sui titoli giapponesi rimane saldamente fermo al 6,6%. Per il mercato azionario giapponese potrebbe trattarsi della fase iniziale di un trend rialzista pluriennale». E mentre il Giappone prova a uscire dalla trappola della liquidità in cui è piombato negli anni '90 tentando di reflazionare l'economia, arrivano segnali contrastati dalle economie occidentali che stanno assistendo a un forte calo dell'inflazione. In Italia oggi è stato diffuso il dato del costo della vita ad aprile, sceso dall'1,6% all'1,2%, toccando i minimi dal 2010. Dati contrastanti anche dagli Usa che nonostante stia attuando una forte politica di espansione monetaria (lo scorso autunno ha annunciato il terzo piano di quantitative easing in tre anni che prevede l'acquisto di titoli di Stato e titoli legati ai mutui per un controvalore di 85 miliardi di dollari al mese) ha visto scendere i prezzi al consumo nel mese di marzo dello 0,2% su base mensile. Segnale che la crisi che sta vivendo il mondo occidentale è probabilmente più una crisi della domanda che non dell'offerta (di moneta). Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-04-30/giappone-abenomics-funziona-disoccupazione-104601.shtml?uuid=AbvYJnrH

L'«Abenomics» batte l'Europa senza crescita

di Alberto Quadrio CurzioCronologia Abenomics: così è stata battezzata la strategia del nuovo primo ministro giapponese, Shinzo Abe, che punta ad una politica economica della crescita con l'innovazione e gli investimenti, la domanda interna e le esportazioni. La Abenomics, che si compone di due politiche connesse (quella di economia reale; quella di economia monetaria), ha già generato un ampio dibattito sia per le probabilità di successo sia per i rischi che ne possono derivare al Giappone ma anche ai rapporti valutari ed economici internazionali. Compresi quelli con l'eurozona che ci interessano maggiormente anche se l'analisi dovrebbe riguardare Uem, Usa, Giappone e Cina. Cioè le quattro maggiori economie del mondo. Il programma giapponese si basa su una forte espansione di spesa pubblica con un primo intervento di circa 10 trilioni di yen ovvero di circa 85 miliardi di euro ad opera del governo centrale che dovrebbe essere affiancato da un altro analogo dei governi locali e dei capitali privati. Si arriverebbe a un intervento pari a 170 miliardi di euro finalizzati a incentivi per investimenti in tecnologie avanzate, specie in energia e ambiente, in ricerca e sviluppo, in sostegni vari alle imprese, nella ricostruzione infrastrutturale e abitativa post tsunami, nella sicurezza anti-sismica, nel sostegno ai redditi dei meno abbienti, in spese varie nelle aree più deboli del Paese. Il Governo ritiene che il programma dovrebbe portare già nell'anno fiscale 2013 (che inizia ad aprile) ad una crescita del Pil del 2% con conseguente aumento di 600 mila posti di lavoro. Questa politica aggressiva di spesa pubblica va valutata in relazione a due aspetti dell'economia giapponese. Il primo è la deflazione di cui il Giappone soffre da 15 anni e dalla quale vuole uscire. La situazione non è tuttavia peggiorata, comparativamente all'Eurozona, nel corso della crisi iniziata nel 2008. Anzi. Infatti nel 2012 il Pil cresce intorno al 2,2% (la Uem cala dello 0,4), la disoccupazione è al 4,5% (la Uem è sopra l'11%), la bilancia dei pagamenti di parte corrente (e cioè il saldo tra esportazioni ed importazioni del Giappone per beni, servizi e redditi) è all'1,6% del Pil (nella Uem è all'1,1%). Il secondo aspetto riguarda le finanze pubbliche dalle quali verrà lo stimolo alla crescita. Nel 2012 il debito pubblico lordo sul Pil è pari al 236% e il deficit sul pil pari al 10% e qui la Uem è ben più solida. In queste condizioni avviare una politica di spesa pubblica appare un azzardo che il Governo nipponico affronta però con due ammortizzatori. Uno riguarda il finanziamento del debito pubblico che per la quasi totalità è detenuto all'interno del Giappone e sul quale si pagano tassi di interesse sui decennali allo 0,82% e quindi minori di quelli tedeschi e americani. L'altro riguarda l'enorme entità di crediti sull'estero accumulati con i surplus commerciali. Nella sfida giapponese vi è anche un profilo di geo-economia dove il Giappone sta arretrando rispetto alla Cina. La quota del suo Pil su quello mondiale (in termini di parità di potere d'acquisto) nel 2000 era al 7,6% e quella della Cina al 7,1%,nel 2012 è al 5,5% e quella della Cina al 14,9%, nel 2017 è prevista al 4,8% e quella della Cina al 18,2%. Anche in termini di dollari correnti la Cina ha già superato il Giappone. Per spingere sulla crescita la Abenomics punta anche ad una forte espansione monetaria della Banca Centrale Giapponese per contribuire al sostegno dell'occupazione e della crescita alzando subito il limite di inflazione accettabile dall'attuale 1% (mentre quella effettiva è allo zero) al 2% ed in prospettiva al 3%. A ciò viene aggiunto l'obiettivo di deprezzare lo Yen per rilanciare le esportazioni che hanno subito un forte rallentamento nel 2012 anche a causa della recessione in Usa e Ue. Sin qui la Abenomics che ha già avuto alcuni effetti come quello di indebolire lo yen e di rilanciare le quotazioni delle azioni nipponiche. È chiaro che la Abenomics ha molti rischi sia interni che esterni al Giappone e che sarebbe molto meglio un concerto tra Uem, Usa, Giappone e Cina per evitare bolle e guerre valutarie. In attesa del "concerto" la Uem dovrebbe però convincersi che la Merkenomis del rigore fiscale e dei pareggi di bilancio senza crescita peggiorerà con la Abenomics. Infatti l'euro da fine luglio(quando Draghi lo salvò) ad oggi ha guadagnato circa il 25% sullo Yen (e il 10% sul dollaro). Ne seguirà un calo delle esportazioni della Uem che rallenterà la nostra ripresa o prolungherà la recessione. Dalla quale non si uscirà sperando in un aumento della domanda aggregata solo in virtù delle liberalizzazioni e della politica monetaria della Bce che non arriva alle imprese. Bisogna allora finanziare i programmi di investimenti infrastrutturali e in ricerca e sviluppo(di Europa 2020 e di Horizon 2020). A tal fine potremmo avere un sostegno dalla Abenomics che con le riserve valutarie punta anche all'acquisto di obbligazioni del Fondo Europeo Esm che andrebbe subito trasformato in Fondo Finanziario Europeo per mettere in sicurezza una parte dei debiti pubblici nazionali e per finanziare i nostri investimenti. È la nota ricetta degli EuroUnionBond che, senza correre i rischi eccessivi della Abenomics, ci consentirebbero di passare dalla Merkenomis recessiva alla Euronomics espansiva. Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-15/labenomics-batte-europa-senza-063537.shtml?uuid=AbZJ7PKH&fromSearch

I segnali del terremoto: Colonne di fuoco, globi di luce, nuvole in fiamme, lampi improvvisi

Luci sismiche e altri fenomeni che anticipano un terremoto e che sono percepiti dagli animali e, forse, anche dall’uomo: novità e nuove ipotesi sulla scienza di prevedere i terremoti. Questo bizzarro e colorato fenomeno delle nuvole nel cielo è stato osservato circa 30 minuti prima che il 12 Maggio 2008 avvenisse il terremoto del Sichuan. Questo video è stato registrato in Tianshui. Colonne di fuoco, globi di luce, nuvole in fiamme, lampi improvvisi: sono le cosiddette luci sismiche, ossia bagliori che appaiono prima e durante le scosse sismiche più violente, presumibilmente prodotti da alterazioni elettromagnetiche generate dalle tensioni che si scaricano nell’ambiente. Tensioni che forse hanno un qualche effetto sugli animali (vedi più avanti) e persino sugli uomini – come sembra suggerire Aldo M., lettore di Focus, di cui riportiamo qui a lato la descrizione della sua sorprendente “capacità”. Presumibilmente, forse, in apparenza… La verità è che non c’è ancora una risposta scientifica alla domanda “si possono prevedere i terremoti?”. Ci sono invece molte ipotesi. Per esempio quella di Alberto Carpinteri(Università di Torino), che ritiene si possa prevedere un sisma monitorando le emissioni di radon (un gas) e di neutroni provocate dalle enormi pressioni lungo la faglia. Ci sono anche studi sulle deformazioni del terreno che precedono di mesi o di anni il terremoto: deformazioni di pochi millimetri rese evidenti dai sistemi satellitari di posizionamento (i GPS) e dai radar satellitari, come dimostrano le ricerche di Simone Atzori e altri scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del CNR. Gli stessi scienziati, tuttavia, non nascondono quanto sia ancora difficile interpretare la relazione tra le deformazioni e l’evento sismico principale. La scienza è dunque ancora nel campo delle ipotesi mentre, contemporaneamente, studia tutto ciò che si conosce dei terremoti del passato – dall’epoca romana ai giorni nostri – e cerca di interpretare segni e testimonianze alla luce delle conoscenze attuali, come appunto avviene per i bagliori e le colonne di fuoco. Le luci sismiche. Anche se questi fenomeni non sono ancora ben compresi dagli scienziati, al punto che anche la definizione, “luci sismiche”, non è ufficiale, le testimonianze sono innumerevoli, a partire da quelle storiche indirette. È per esempio il caso di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), che riporta testimonianze di un terremoto nei pressi di Modena (89 a.C.) e cita fumo e fiamme che “guizzavano al cielo”. Nel 1600, nei pressi di Arequipa (Perù), le cronache riportano di globi luminosi che si formavano in corrispondenza di un’eruzione vulcanica accompagnata da un terremoto. Nel ’700 è il filosofo tedesco Immanuel Kant a citare nei suoi scritti numerose testimonianze di fenomeni strani, come bussole impazzite, luci abbaglianti e cieli colorati prima del terremoto: Kant concludeva che le cause dei terremoti sembrano estendere il loro effetto fin nell’atmosfera . Il sacerdote scienziato Il primo a studiare sistematicamente le luci sismiche fu il sacerdote italianoIgnazio Galli, che nel 1910 compose un primo catalogo al quale contribuì anche Giuseppe Mercalli (per il sisma del 1908). Galli registrò 148 casi, a partire dal terremoto di Modena dell’89 a.C., e catalogò le luci in 4 gruppi: bagliori istantanei, nubi luminescenti, fiamme e forme strutturate (globi, colonne, trombe). Successivamente le luci sismiche sono state catalogate anche da altri scienziati, in Giappone (Torahiko Terada e Yutaka Yasui) e in Svizzera (Frédéric Montandon). Fiamme e globi Le testimonianze, però, non dicono nulla sull’origine di queste luci misteriose. L’ipotesi più plausibile è che fenomeni diversi abbiano origini diverse. Le fiamme, per esempio, potrebbero essere causate da gas che filtrano attraverso il terreno che si deforma per il sisma, perché la loro apparizione è spesso accompagnata da fumo e odore di zolfo o di bitume.Le sfere luminose, invece, potrebbero essere fenomeni specifici di tipo geofisico o forse anche “semplici” fulmini globulari. I lampi e le nebbie luminose, forse anche alcune sfere, infine, hanno probabilmente una natura elettrica che si originerebbe nel sottosuolo, dove durante un sisma le rocce sono sottoposte a enormi compressioni. Come un mega-accendino Ci sono infatti diversi fenomeni fisici che possono giustificare lo sviluppo di elettricità dovuta alla pressione. C’è, per esempio, la piezoelettricità di minerali come il quarzo che, se compressi, sviluppano un campo elettrico: è il principio che usiamo quotidianamente con gli accendigas. Altri fenomeni possibili sono la triboelettricità, che si genera per attrito, a causa dello sfregamento della roccia, e la piroelettricità, prodotta dal calore. Una teoria più recente è stata sviluppata da Friedemann Freund: «Le rocce, quando sono sotto stress, attivano portatori di cariche elettriche (lacune elettroniche, ossia cariche positive causate dall’assenza di elettroni). In queste condizioni, le rocce, che normalmente sono isolanti, diventano conduttrici: le lacune fluiscono attraverso di loro e, quando arrivano in superficie, creano campi elettrici intensi», afferma Freund. I campi elettrici strapperebbero elettroni alle molecole d’aria, elettrizzandole e producendo flash luminosi noti come effetto corona. Un’altra ipotesi recente è che alcuni lampi e bagliori nel cielo siano generati da fuoriuscite di radon, un gas radioattivo che si può liberare prima, durante e dopo un sisma: le radiazioni prodotte dal radon elettrizzerebbero l’aria nei pressi dell’epicentro, creando un effetto simile a una lampada al neon. Interferenze radio La presenza dei fenomeni elettrici appena descritti potrebbe spiegare anche un altro fatto, spesso osservato in occasione di forti terremoti: lealterazioni nelle comunicazioni radio (attenuazione e disturbi del segnale). Infatti durante i terremoti più intensi si registrano anche onde elettromagnetiche. «Ci sono emissioni di frequenza molto bassa che, secondo i miei modelli, sono generate da intense correnti elettriche sotterranee dovute alla compressione delle rocce», spiega ancora Freund. «E c’è anche una forma specifica di radiazione, nota come anomalia termica infrarossa», scoperta recentemente grazie ai satelliti meteorologici, su un raggio di centinaia di km attorno all’epicentro del terremoto: secondo Freund sarebbe anch’essa riconducibile alle forze di compressione correlate all’evento sismico. Attraverso i peli Le anomalie elettromagnetiche potrebbero contribuire a spiegare un altro fenomeno misterioso, ossia il fatto che prima dei terremoti molti animali appaiono inquieti: i pesci si agitano nell’acqua, i topi escono dalle tane, i cani si innervosiscono, vermi e serpenti vengono allo scoperto. Fino a poco tempo fa questi episodi erano relegati alla credenza popolare, ma verso la fine del XIX secolo lo scienziato Alessandro Serpieri (1823-1885) si accorse che quei comportamenti potevano essere indotti dalle correnti elettriche e oggi ci sono diversi studi sull’argomento, tra cui il libro Earth­quakes and Animals del ricercatore giapponese M. Ikeya. Insomma, gli animali sembrerebbero in grado di percepire alcuni segnali precursori dei terremoti, come onde elettromagnetiche (attraverso i peli) e vibrazioni. La Terra si riorganizza Per comprendere tutti questi fenomeni è necessario applicare un approccio “sistemico”: bisognerebbe raccogliere una maggior quantità di dati e studiare i terremoti nel loro complesso, senza limitarsi alle singole componenti, interessandosi anche alle reciproche relazioni. Perché il terremoto è, in senso più ampio, una riorganizzazione della crosta terrestre che si manifesta con movimenti più o meno bruschi e segnali elettromagnetici: ed è ragionevole pensare che la comprensione di questi fenomeni e delle loro relazioni ci consentirà infine di prevederli e limitare i danni. Fonte http://umbertogaetani.blogspot.co.uk/2013/04/i-segnali-del-terremoto.html

Bioscanner Trimprob: La macchina che vede in anticipo i tumori è realtà

Il Trimprob (Tissue Resonance Interfero-Meter Probe) è un sistema portatile per la diagnosi non invasiva delle malattie biologiche che consente di evidenziare in tempo reale e in maniera decisamente precoce diverse patologie, dagli stati infiammatori alle formazioni tumorali. Inventato dal fisico italiano Clarbruno Vedruccio, lo strumento, di semplicissimo utilizzo, consente di esaminare i diversi distretti del corpo umano in pochi minuti, senza la necessità di rimuovere gli indumenti e senza provocare il minimo disagio per il paziente. Il dispositivo consiste in una sonda che, emettendo un campo elettromagnetico di esigua potenza, effettua un’analisi non invasiva dei tessuti che consente di rilevare la presenza di stati patologici (tra cui di particolare importanza le formazioni tumorali), e in un ricevitore che, mediante un programma software dedicato, consente di visualizzare l’interazione della sonda emettitrice con i tessuti e di registrare i test effettuati. L’emissione elettromagnetica consiste nella generazione, con modalità peculiari, di tre frequenze in banda UHF (intorno a 460, 920 e 1350 MHz), ognuna delle quali è associata all’eventuale risposta generata da tessuti di tipologia differente; in particolare, il segnale sulla prima frequenza interagisce con le formazioni tumorali evidenziando sul display del sistema un abbassamento della riga spettrale. Il TRIMprob è in grado di fornire in tempo reale lo stato di salute di tessuti e organi umani ed è in possesso del marchio CE quale “sistema elettromedicale per la diagnostica non invasiva”; iscritto nel Repertorio dei Dispositivi Medici del Servizio Sanitario Nazionale. Prodotto dalla Galileo Avionica S.p.A., distribuito dalla TrimProbe S.p.A. (ambedue del Gruppo Finmeccanica) fino a gennaio 2008 su licenza di utilizzo brevetto del dr. Clarbruno Vedruccio. Poi misteriosamente la produzione e distribuzione è stata bloccata. Il Prof. Clarbruno Vedruccio e sua moglie, la Dr.ssa Carla Ricci Da allora l’Ing. Vedruccio e la moglie Carla Ricci – che si è impegnato in prima persona per fare sperimentare la sonda presso strutture ospedaliere del SSN - hanno cercato un nuovo partner industriale che credesse e investisse nel Trimprob. Fortunatamente dal blog 22PASSI apprendiamo che che questo obiettivo è stato raggiunto e che la sonda, ora chiamata BIOSCANNER, verrà nuovamente prodotta da un’azienda Emiliana, la Tema Sinergie. Ecco la puntata di Report andata in onda su RAI3 il 13/05/2012 Censura di Wikipedia Italia Questa è la pagina inglese di Wikipedia dedicata al Timprob http://en.wikipedia.org/wiki/Trimprob, che dopo una breve descrizione e storia del dispositivo conclude dicendo che È stato dimostrato che [il Trimprob] garantisce un alto tasso di accuratezza per la diagnosi precoce del cancro. [It had been proved to have high accuracy rate for the early diagnosis of cancer] [9][10][11] Fornendo tre link a dimostrare la validità di tale affermazione. E confrontate con quello che offre Wikipedia italiana: TRIMprob È stata chiesta la cancellazione della pagina. La pagina è stata cancellata Come da discussione progetto medicina –Adert (msg) 11:58, 1 mag 2012 (CEST) La storia Il “bioscanner” viene prodotto, certificato e validato dal Ministero della Salute, distribuito in commercio. Elogiato da pubblicazioni scientifiche internazionali. Ma nel 2007 Finmeccanica dice basta: il progetto non è una priorità strategica per il gruppo. Cessa così la produzione della macchina che, in due minuti, identifica i tumori. Nel 2008 Trim Probe Spa è messa in liquidazione. Da allora Clabruno Vedruccio è costretto a mantenerne i costi di brevetto, non proprio alla portata di tutti. Una storia paradossale. Una tecnologia rivoluzionaria nel campo della medicina viene chiusa in un cassetto dal colosso italiano della difesa, posto sotto il controllo di un Ministero della Repubblica. A testimoniarne l’efficacia, la presenza del Trim Prob in una cinquantina di centri italiani. Come il Sant’Andrea di Roma, dove si paga un ticket di 40 euro per sottoporsi all’esame. Sono i centri che sono riusciti ad averlo prima che smettesse di essere prodotto. Ha la validazione per l’uso su prostata e vescica, ma potrebbe con pochi sforzi burocratici essere utilizzato per altro. Clicca qui per vedere dove è attualmente presente il bioscanner Timprob. Ecco cosa dice la pagina web di Finmeccanca – Galileo Avionica Italia risalente al 2003 e che ancora non è stata cancellata, in cui si presentava il Trimprob al momento di uscire sul mercato: Galileo Avionica, una Società Finmeccanica operante nel campo della Difesa, avvalendosi di competenze e tecnologie militari avanzate, ha industrializzato una strumentazione diagnostica, portatile e non invasiva, denominata TRIMprob(Tissue Resonance Interfero-Meter Probe), che consentirà di evidenziare in tempo reale e in maniera decisamente precoce diverse patologie, dagli stati infiammatori alle formazioni tumorali. Lo strumento, di semplicissimo utilizzo, consente di esaminare i diversi distretti del corpo umano in pochi minuti, senza la necessità di rimuovere gli indumenti e senza provocare il minimo disagio per il paziente. L’apparecchiatura è composta da una sottile sonda cilindrica della lunghezza di circa 30 centimetri alimentata a batterie e da un ricevitore. Un applicativo software appositamente elaborato da Galileo Avionica è deputato all’acquisizione, alla lettura e alla gestione dei dati diagnostici. Il TRIMprob emette un segnale elettromagnetico di debole intensità, che si autosintonizza su frequenze caratteristiche delle strutture esaminate. Quando questo campo elettromagnetico incontra sulla propria linea di propagazione un aggregato in stato biologico alterato, si innesca un fenomeno di interferenza con la struttura in analisi. Tale fenomeno, interpretato attraverso algoritmi proprietari, consente di identificare differenti patologie: neoplasie, fibromi, calcificazioni, stati infiammatori, problemi circolatori, lesioni osteo-articolari, muscolari e tendinee. Interamente sviluppato in Italia il prodotto, basato sulla tecnologia HSM (Hybrid State Maser) ideata dal fisico Clarbruno Vedruccio e già presente in alcuni esemplari prototipici dallo stesso realizzati, è stato industrializzato da Galileo Avionica a seguito dell’acquisizione dei diritti di sfruttamento dall’inventore. Tale tecnologia consente di generare campi elettromagnetici ad alta coerenza spaziale e temporale e, grazie alle proprietà dei segnali HSM, rende possibile la realizzazione di sensori miniaturizzati in grado di interagire a livello microscopico con la “materia” da esaminare. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie alle competenze del Laboratorio Elettromagnetismo Avanzato dello stabilimento torinese di Galileo Avionica, che in oltre trenta anni di attività ha avuto in Italia e all’estero riconoscimenti di eccellenza, collaborando costantemente con Università e centri di ricerca sia civili che militari. La tecnologia HSM offre notevoli prospettive di sfruttamento sia per applicazioni militari sia per la sicurezza nazionale, potendo essere utilizzata nella individuazione di materiali e ordigni esplosivi. Le prime esperienze sono state infatti condotte dal Dr. Vedruccio sulla ricerca di disomogeneità nel terreno,finalizzate alla localizzazione di ordigni esplosivi interrati. Grazie alla sua felice intuizione, si è osservata un’interferenza dello strumento anche con la “materia” biologica, che ha consentito di realizzare un primo prototipo dimostratore. Da lì si è giunti oggi al TRIMprob, in grado di fornire in tempo reale lo stato di salute di tessuti e organi umani. Al fine di certificarne la validità medico/diagnostica sono stati condotti e conclusi diversi protocolli di sperimentazione relativi a distretti clinici specifici, in particolare prostata, mammella e stomaco/duodeno. Tali studi hanno fornito risultati decisamente promettenti in termini di sensibilità, specificità e accuratezza della metodica. Attualmente sono in corso sperimentazioni su fegato e polmone ed è prevista, a breve, l’attivazione di studi clinici relativi ad altri distretti quali cuore, tiroide, utero e pancreas. La commercializzazione dei primi esemplari di TRIMprob, specifici per la prostata, è prevista per l’estate 2003. Ecco la presentazione dell’inventore l’Ing. Vedruccio fatta dall’allora suo produttore (Galileo Avionica): Clarbruno Vedruccio nasce nel 1955 a Ruffano (Lecce), consegue la maturità scientifica e si laurea in fisica (M.Sc.) negli USA, ottenendo poi il Ph.D. in Ingegneria elettronica. Nel corso degli anni ’80 e primi anni ’90, collabora con Reparti d’Elite delle FFAA e con l’Istituto di Fisica dell’Atmosfera (FISBAT) del CNR di Bologna. Nella seconda metà degli anni ’90 idea, perfeziona e brevetta la tecnologia HSM, realizzando alcuni dimostratori tecnologici del sistema oggi denominato Tissue Resonance Interferometer. Dal 2000 collabora strettamente come consulente scientifico con la Galileo Avionica alle fasi di ricerca e sviluppo industriale della sua scoperta. Come potete verificare leggendo il seguente atto parlamentare, Galileo Avionica smise di produrre la sonda diagnostica Trimprob (nonostante venisse già utilizzata in diverse strutture sanitarie pubbliche) nel 2007. (Fonte) Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-05944 - Atto n. 4-05944 Pubblicato il 27 settembre 2011 - Seduta n. 610 LANNUTTI – Ai Ministri della salute e dell’economia e delle finanze. - Premesso che: Selex Galileo SpA è una società controllata dal Gruppo Finmeccanica, leader nei mercati dell’elettronica della difesa, che conta oltre 7.000 dipendenti e che nasce dalla fusione dell’italiana Galileo Avionica SpA e della britannica SELEX Sensors and Airborne Systems Limited; Galileo Avionica SpA era la principale azienda italiana nel settore avionico. Progettava, sviluppava e produceva sistemi avionici ed elettro-ottici, equipaggiamenti spaziali per piattaforme e satelliti; Galileo Avionica SpA nel 2004, ha industrializzato una strumentazione diagnostica, portatile e non invasiva, denominata TRIMprob (Tissue Resonance Interfero-Meter Probe); nel comunicato stampa datato 27 febbraio 2003 si legge che questa strumentazione: consentirà di evidenziare in tempo reale e in maniera decisamente precoce diverse patologie, dagli stati infiammatori alle formazioni tumorali. Lo strumento, di semplicissimo utilizzo, consente di esaminare i diversi distretti del corpo umano in pochi minuti, senza la necessità di rimuovere gli indumenti e senza provocare il minimo disagio per il paziente. L’apparecchiatura è composta da una sottile sonda cilindrica della lunghezza di circa 30 centimetri alimentata a batterie e da un ricevitore. Un applicativo software appositamente elaborato da Galileo Avionica è deputato all’acquisizione, alla lettura e alla gestione dei dati diagnostici. Il TRIMprob emette un segnale elettromagnetico di debole intensità, che si autosintonizza su frequenze caratteristiche delle strutture esaminate. Quando questo campo elettromagnetico incontra sulla propria linea di propagazione un aggregato in stato biologico alterato, si innesca un fenomeno di interferenza con la struttura in analisi. Tale fenomeno, interpretato attraverso algoritmi proprietari, consente di identificare differenti patologie: neoplasie, fibromi, calcificazioni, stati infiammatori, problemi circolari, lesioni osteo-articolari, muscolari e tendinee; considerato che: il Trim Prob è stato prodotto e distribuito fino al 2007, quando la società del gruppo Finmeccanica ha deciso di fermare la produzione; il suo costo attuale è di circa 40.000 euro; nel 2008 la Trim Probe SpA, società creata ad hoc da Galileo Avionica per distribuire il macchinario Trim Prob, è stata messa in liquidazione; un lancio d’agenzia dell’Agenparl datato 27 settembre 2011 dal titolo “Finmeccanica: lo scova tumori che l’azienda non vuole più” ricostruisce la vicenda; sempre Agenparl, lo stesso 27 settembre 2011, pubblica un’intervista dell’inventore del Trim Prob, il dottor Clarbruno Vedruccio, scienziato e militare, il quale conferma che il Trim Prob ha l’omologazione del Ministero della salute, è usato in una cinquantina di centri italiani che sono riusciti a procurarselo prima che la produzione venisse fermata dalla stessa Finmeccanica e fa a pieno titolo parte del Sistema sanitario nazionale (SSN); nella citata intervista, il dottor Vedruccio afferma che sta mantenendo lui stesso i “costi molto alti” del brevetto e poi dichiara: “Era quasi come se questa cosa dovesse rimanere soltanto in mando ad un gruppo di persone. Finmeccanica aveva il potere, forse lo avrebbe ancora, per fare navigare questa tecnologia”, si chiede di sapere: se il Ministro della salute sia a conoscenza dell’esistenza del Trim Prob e quali siano le valutazioni sullo stesso in quanto strumento di diagnosi di tumori non invasivo, non costoso, rapido; quali siano le valutazioni sui risparmi economici che deriverebbero da una diffusione massiccia della stessa strumentazione nel SSN, dato che tale macchina costa appena 40.000 euro e non ha praticamente costi di gestione a differenza di altre macchine diagnostiche utilizzate per le stesse patologie; quale sia la valutazione dei Ministri in indirizzo in merito al fatto che una società del gruppo Finmeccanica, quindi controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze, abbia deliberatamente cessato la produzione di una tecnologia d’avanguardia tutta italiana che avrebbe portato indubbi benefici alla sanità italiana e alle casse dello Stato; se non intendano fare chiarezza su quali siano state le reali motivazioni dietro la cessazione della produzione del Trim Prob da parte di Galileo Avionica; se non intendano attivarsi, per quanto di competenza, affinché la Corte dei conti affinché faccia chiarezza sul danno per l’erario derivante dalla mancata adozione del Trim Prob. Fortunatamente, da qualche giorno la storia del Trimprob, ora BIOSCANNER Trimprob, può ripartire grazie a una nuova azienda, la Tema Sinergie, che sul proprio sito annuncia: A new technology is going to change the scenario of the early cancer detection: thanks to the agreement recently signed with Tema Sinergie, indeed, the Bioscanner of physicist Clarbruno Vedruccio will soon be brought up to the medical scientific community. A real “healthcare sentinel” which can perform an early detection of cancer, or immediate detection of possible recurrences, by using a direct reading spectroscopy – a quick, non invasive test with immediate response and high diagnostic sensitivity - of electromagnetic waves. The Bioscanner of physicist Clarbruno Vedruccio is apatent which, in addition to reveal new connection between electromagnetic fields and matter, works findingphysic alterations of some electromagnetic cellular properties - dielectric and conductivity constants – which result significantly modified in tissues with initial malignant pathology. The diagnostic system is CE marked and validated by the Italian National Healthcare System. This is a further commitment of Tema Sinergie in bringing deep innovative solutions in the field of early diagnosis too. —- Ecco l’articolo pubblicato un’anno fa da AgenParl, Agenzia Parlamentare per l’Informazione Politica ed Economica. FINMECCANICA: LO SCOVA-TUMORI CHE L’AZIENDA NON VUOLE PIÙ (AGENPARL) – Roma, 27 set – Un’invenzione tutta italiana che segnerebbe il passo a livello mondiale nel campo della diagnostica dei tumori. Un esame che dura pochi minuti, non invasivo, economico, che dà risposte immediate. Si chiama Trim Prob ed è un piccolo dispositivo che emette un campo elettromagnetico e, passato vicino all’organo interessato, esegue una sorta di biopsia elettronica del tessuto identificandone alterazioni: in parole povere, segnala tumori. In pochi minuti analizza prostata e vescica, ma anche colon retto, mammella e altri organi. Uno strumento di prevenzione – da affiancare comunque agli altri macchinari diagnostici – che risparmierebbe al Sistema Sanitario Nazionale il dover ricorrere sempre ad altre macchine diagnostiche più costose, in termini di tempo, gestione, risorse umane. Il Trim Prob costa circa 40 mila euro e permetterebbe un risparmio che in tempi di crisi farebbe certamente bene alla nostra sanità. Ma Finmeccanica – la holding industriale italiana controllata dal Tesoro che lo stava producendo – ha deciso di chiudere in un cassetto questo prodotto di tecnologia italiana. Nel 2004 Galileo Avionica, azienda di Finmeccanica oggi nota come Selex Galileo, acquisisce il brevetto dall’inventore Clarbruno Vedruccio – brillante scienziato che l’esercito italiano non si è voluto lasciar sfuggire ricorrendo addirittura alla ‘Legge Marconi’ per averlo tra le sue fila – e crea una società ad hoc per distribuirlo, la Trim Probe Spa. Grande enfasi al progetto: dalla tecnologia militare un’arma per la difesa della salute. Il “bioscanner” viene prodotto, certificato e validato dal Ministero della Salute, distribuito in commercio. Elogiato da pubblicazioni scientifiche internazionali. Ma nel 2007 Finmeccanica dice basta: il progetto non è una priorità strategica per il gruppo. Cessa così la produzione della macchina che, in due minuti, identifica i tumori. Nel 2008 Trim Probe Spa è messa in liquidazione. Da allora Clabruno Vedruccio è costretto a mantenerne i costi di brevetto, non proprio alla portata di tutti. Una storia paradossale. Una tecnologia rivoluzionaria nel campo della medicina viene chiusa in un cassetto dal colosso italiano della difesa, posto sotto il controllo di un Ministero della Repubblica. A testimoniarne l’efficacia, la presenza del Trim Prob in una cinquantina di centri italiani. Come il Sant’Andrea di Roma, dove si paga un ticket di 40 euro per sottoporsi all’esame. Sono i centri che sono riusciti ad averlo prima che smettesse di essere prodotto. Ha la validazione per l’uso su prostata e vescica, ma potrebbe con pochi sforzi burocratici essere utilizzato per altro. Anche il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, lo ha provato. L’allora Ministro della Salute Girolamo Sirchia non mancava alla presentazione presso il Fatebenefratelli di Milano. Ma è una tecnologia che non ha futuro, dal momento che Finmeccanica ha deciso così. Perché è arrivato lo stop? Ufficialmente il colosso guidato da Pier Francesco Guarguaglini lo ha motivato col fatto che il gruppo si occupa di sistemi di difesa, non di diagnostica medica. Ma resta il mistero – allora – sul perché abbia iniziato a produrlo. “Era quasi come se questa cosa dovesse rimanere soltanto in mano ad un gruppo di persone – ha detto all’AgenParl il dott. Vedruccio – eppure Finmeccanica aveva il potere, e forse lo avrebbe ancora, per fare navigare questa tecnologia”. Ai primordi dell’industrializzazione del Trim Prob doveva collaborare anche un’altra azienda, la Esaote. Un’azienda che nasce, ancora una volta, da una branca di Finmeccanica, da cui si stacca negli anni ‘90. Diventa col tempo una delle aziende leader del settore della diagnostica medica. Avrebbe dovuto distribuire il Trim Prob, ci dice Vedruccio, ma poi non se ne fece nulla: “E’ difficile far vendere un nuovo prodotto a chi produce altro che è concorrenziale”. Ora restano il brevetto mantenuto con sacrificio da Vedruccio e le trattative con altre aziende, con un pericolo: “Non è un progetto che intendo svendere né intendo regalare a una multinazionale. Si potrebbe veramente creare una situazione in cui qualcuno compra il brevetto per non produrlo. Non è ciò che io desidero dopo 15 anni di studi, ricerche, esperimenti”. Rimarrebbe il sapore amaro della beffa. Fonte: http://www.dionidream.com/bioscanner-trimprob-la-macchina-che-vede-i-tumori/

Nel vivo la nuova corsa all’Africa

– Tony Busselen - Tradotto da Centro di Cultura e Documentazione Popolare Intervista a Raf Custers Sin dai tempi coloniali, chi cerca materie prime può fare ciò che vuole in Africa, praticamente senza ostacoli. Dopo la decolonizzazione, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno indebolito molti stati imponendo riforme strutturali. Oggi, tuttavia, alcuni governi africani cercano di resistere. In epoca coloniale, l’Africa era conosciuta come un fornitore di materie prime. Oggi, il continente appare particolarmente sopraffatto da povertà, guerra, dittatori corrotti e signori della guerra. Tuttavia, Raf Custers ha sentito che questo era il momento giusto per scrivere un libro sulle grandi società minerarie e le materie prime in Africa. Raf Custers. E’ iniziato nel 2007 con un rapporto della UNCTAD (l’agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, ndr) che rivelava la crescita dell’estrazione mineraria. Era una novità perché nei due decenni precedenti, i prezzi delle materie prime erano bassi e gli investimenti erano scarsi. La controtendenza era alimentata soprattutto dal fabbisogno crescente di materie prime dei paesi emergenti, Brasile, Russia, India e Cina, che si volgevano tra gli altri verso l’Africa. Per questo motivo abbiamo anche parlato di una nuova corsa all’Africa da parte delle società minerarie più importanti. L’Africa deve quindi aspettarsi una seconda ondata di colonizzazione? Raf Custer Questa è già in corso da tempo. E’ iniziata nel 1980 e 1990 con le riforme imposte ai paesi africani da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Non veniva ancora chiamata austerità ma aggiustamento strutturale. Ma il risultato è lo stesso: il governo ha dovuto dimagrire e gli investitori privati hanno potuto agire in piena libertà. Sappiamo che queste riforme sono state un flop. È per questo che si sente sempre più spesso in Africa, levarsi voci che reclamano una seconda indipendenza. Cosa significavano queste riforme in pratica? In Mali, per esempio, le aziende private avrebbero sfruttato le miniere d’oro, anche se si trattava in effetti di saccheggio. Paesi come Zambia e Zaire sono stati costretti a spezzettare le loro grandi società minerarie e trasformarle in decine di joint venture in cui gli investitori privati occidentali erano padroni. Ovunque, questi contratti sono stati molto vantaggiosi per le società minerarie. Per anni, sono state esenti da imposte e hanno pagato solo modeste royalties (una percentuale sulle entrate versate alle autorità dal concessionario, ndr). Inoltre hanno impiegato relativamente poca gente. I paesi ricchi di materie prime sono spesso molto poveri. Gli stati africani non sono i primi responsabili della maledizione delle materie prime? Un paese come il Congo è un tipico esempio di ciò che può portare l’aggiustamento strutturale. Lo stato è ridotto a una specie di scheletro dotato di un apparato impotente. Le grandi multinazionali godono di una libertà enorme, mentre l’amministrazione non ha nulla. Un esempio: nel bacino del fiume Congo, si possono costruire centinaia di micro-dighe per produrre elettricità. Nel 1990, fu fatto un inventario di questi luoghi. Ma la società elettrica nazionale, ad oggi non ha che una sola copia di questo inventario. Cosa può fare una simile amministrazione di fronte al privato? Le imprese fanno quello che vogliono. Prendiamo il Mali, dove ci sono miniere d’oro. Lo stesso ministro delle finanze ha ammesso che il governo non sapeva quanto minerale viene esportato dalle multinazionali… Ma così non si scagionano le élite locali? In Congo, l’ex dittatore Mobutu è la base della corruzione. Non si deve dimenticare che era un amico degli Stati Uniti durante la guerra fredda contro l’influenza dell’URSS. Nei primi anni del 1980, ha liberalizzato i settori chiave dell’economia. La sua indicazione era letteralmente: “Sbrigatevela”. Il settore informale si è espanso fortemente. Ogni possibile rete è attiva, infiltrando ciò che resta dello stato, dell’amministrazione, dell’esercito, ecc. L’Occidente sta cercando di riprendere il controllo ma la maggior parte delle pressioni occidentali determinano un ripiegamento delle reti su se stesse. Ciò che si vede in superficie è una cosa, quel che accade al di sotto, è tutta un’altra cosa. La paragono a una partita a scacchi, su una scacchiera a sei lati e quattro piani dove giocatori visibili e invisibili spostano i loro pezzi contemporaneamente. In Congo, alcuni attori privati sono diventati immensamente ricchi, mentre la gente vive in condizioni di povertà. Le cose sono cambiate sul piano sostanziale dall’epoca di Mobutu? Mobutu fu rovesciato da una rivolta popolare, ma il sistema non scomparve contestualmente. Inoltre, successivamente scoppiò una guerra. Il Congo ha vissuto quasi dieci anni di conflitti, con ribellioni alimentate dall’esterno. Come avere il controllo su un tale caos? Come prendere le reti corrotte? Il presidente precedente, Laurent-Désiré Kabila aveva cercato di farlo alla fine del 1990. Gli Stati Uniti erano al culmine della loro potenza. I mobutisti non sono mai del tutto scomparsi e Kabila fu stato assassinato. Joseph Kabila successe al padre. E’ riuscito a stare in questa cesta di granchi, dove sono sopravvissute in parte, necessariamente, le stesse pratiche. Ma sotto la sua guida, il Congo progredisce. Si scontra con il potere delle grandi società minerarie, ha fatto modificare contratti minerari, cerca di agire in piena sovranità contro l’autorità dell’Occidente. Questo dà dei risultati. Il Congo oggi produce rame trenta volte più di dieci anni fa. Lo stato gode di un maggior gettito. L’ultimo rapporto dell’EITI, l’iniziativa che mira a rendere visibile il flusso di denaro tra le società minerarie e lo stato, la dice lunga in proposito. Nel 2010, lo Stato ha ricevuto 875 milioni di dollari dalle imprese, il doppio rispetto al 2007. La percezione è un miglior funzionamento e che ci siano minori perdite di denaro nel sistema. I giocatori di scacchi invisibili continuano a sabotare ogni progresso, ma ci sono meno giocatori rispetto dieci anni fa. Io vedo la situazione migliorare, e non sono l’unico. Raf Custers, I cacciatori di materie prime (neerlandese), Ed. EPO, 2013 Per concessione di Resistenze.org Fonte: http://www.ptb.be/index.php?id=1326&tx_ttnews[tt_news]=34146&cHash=0b46cca6ef567ca14743eb694a5b7191 Data dell’articolo originale: 26/03/2013 URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=9556

La discarica del tesoro

Il problema di Oslo sono i rifiuti: sono troppo pochi. La capitale norvegese li importa da Regno Unito, Irlanda, Svezia e ora punta anche al mercato statunitense. “Il trasporto marittimo non costa tanto”, spiega al New York Times Pal Mikkelsen, che gestisce uno degli impianti che trasformano i rifiuti in calore ed elettricità. Oslo è una città molto attiva nel riciclo: la maggior parte delle scuole, e degli edifici in generale, è scaldata grazie alla combustione generata dai rifiuti domestici, industriali, tossici o ritenuti pericolosi perché provenienti da ospedali e sequestri giudiziari. Ma anche questa manna sta per finire. E il problema non è solo della capitale norvegese, una città che ha 1,4 milioni di abitanti. Tutto il Nordeuropa, dove l’utilizzo di energia proveniente dai rifiuti è in crescita, la domanda di materia prima supera l’offerta: e alimenta un nuovo mercato. I nordeuropei producono solo 150 milioni di tonnellate di spazzatura all’anno, mentre i suoi termovalorizzatori sono in grado di lavorarne 700 milioni. Al sud, spiegano, c’è un terreno ancora da sfruttare. Ma non tutti i rifiuti sono uguali: a quelli offerti da Napoli gli impianti di Oslo hanno preferito quelli inviati dalla più rassicurante Gran Bretagna.

Cos’è l’Imu? E gli altri paesi in Europa la pagano?

Delle case di Testaccio, a Roma. (Paolo Cipriani, Getty Images) Silvio Berlusconi ha annunciato il 30 aprile che il suo partito ritirerà l’appoggio al governo di Enrico Letta se non sarà abolita l’Imu, la tassa sulla casa. Ma cos’è l’Imu? Gli altri paesi in Europa la pagano? L’Imu (Imposta municipale unica) è una tassa su case e fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli. La pagano i proprietari ma anche chi gode dei “diritti reali” sull’immobile (come per esempio chi ha il diritto di usufrutto o di abitazione su una casa). L’Imu era stata introdotta dal governo Berlusconi nel marzo del 2011 con una legge secondo cui la tassa (che si chiamava Imposta municipale propria) non doveva riguardare la prima casa e sarebbe entrata in vigore nel 2014. Il governo di Mario Monti ha anticipato l’introduzione dell’Imu al 2012 e ha stabilito che doveva essere pagata sia sull’abitazione principale sia sulle eventuali altre case. Come si calcola l’Imu? Il calcolo dell’Imu è complesso: si parte dal valore degli immobili e si applicano delle percentuali che variano di comune in comune. L’aliquota base è del 4 per mille. Molti siti offrono dei calcolatori online (questo è quello del Sole 24 Ore). Sono i comuni che riscuotono la tassa e a loro spettano i soldi ricavati, gli interessi e le possibili sanzioni, anche se poi allo stato va circa la metà del ricavato. Nel 2012 hanno pagato l’Imu 25,8 milioni di cittadini e in tutto sono stati raccolti 23,7 miliardi di euro (quattro miliardi dall’Imu sulla prima casa, 10,7 miliardi dall’Imu sulle altre, 9 miliardi dall’Imu su negozi, laboratori artigianali e industriali). L’importo medio pagato da ogni famiglia per l’abitazione principale si aggira intorno ai 225 euro (questi i dati del ministero dell’economia e delle finanze). L’imu è una tassa giusta? Chi difende l’Imu ricorda che circa la metà delle famiglie italiane non la paga: o perché non possiede un’abitazione (e sono di solito le famiglie con redditi più bassi) o perché le detrazioni previste annullano la tassa. Inoltre l’Imu cambia molto tra la prima e la seconda casa (partendo dal presupposto che chi ha più di un’abitazione dovrebbe avere un reddito più alto di chi possiede una casa sola). Inoltre, insistono i difensori della tassa, se si vuole annullare l’Imu sulla prima casa bisogna anche capire come trovare altrove i quattro miliardi incassati nel 2012 (che diventerebbero otto se si restituisse anche l’imposta già pagata, come vuole il Pdl): si tagliano le spese o si aumentano le tasse sui redditi (dei lavoratori o delle imprese) e sui consumi? Altri invece sottolineano i difetti di questa imposta, in particolare il fatto che la base imponibile si fonda su valutazioni vecchie e quindi lontane dai reali valori di mercato delle abitazioni. Inoltre chiedono delle modifiche per renderla più equa. Nel resto d’Europa si paga una tassa sulla casa? Tasse simili all’Imu esistono in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna e Germania. 
 Francia. Esistono a livello locale la taxe d’habitation, che pesa su chi usa l’abitazione (proprietario, affittuario, occupante a titolo gratuito), e la taxe foncière, che riguarda il proprietario dell’abitazione. Queste due tasse possono diminuire per le abitazioni principali in base al numero dei componenti di una famiglia e, nel caso della taxe d’habitation, in base all’età dell’inquilino. Le aliquote d’imposta sono fissate dalle amministrazioni locali. C’è anche un’impôt de solidarité sur la fortune per chi ha un patrimonio superiore a 1,3 milioni di euro (soglia stabilita nel 2012). Germania. Ogni Bundesland (stato federale) ha una sua normativa specifica. Esiste una tassa sui beni immobili (equiparabile all’Imu italiana) calcolata in base a specifici moltiplicatori. Si parte dalla rendita catastale (cioè circa il 60 per cento del valore di mercato dell’immobile) e poi si moltiplica questa cifra per valori diversi a seconda delle province. Regno Unito. Anche in Gran Bretagna esiste una tassa sul possesso degli immobili. Si chiama council tax e generalmente varia tra lo 0,5 per cento e l’1,3 per cento del valore imponibile dell’immobile. Questa percentuale dipende da numerosi fattori (per esempio, per un appartamento a Londra si può considerare un valore medio compreso tra 1.200 e tremila euro. Sugli affitti superiori a 125mila sterline (148mila euro) si applica anche uno stamp duty, un’ulteriore tassa (detta di registro) pari a circa l’1 per cento. Spagna. È forse il paese in cui la tassazione sulla casa è più simile a quella italiana. Anche in Spagna esiste un’imposta sul reddito, l’impuesto sobre bienes inmuebles, applicata esclusivamente alla seconda casa, a cui si aggiunge un’imposta sui beni immobili con aliquote che variano tra lo 0,4 per cento e l’1,1 per cento. È stata inoltre reintrodotta da qualche anno una tassa applicata solo ad abitazioni di valore superiore ai 700mila euro. Fonte: http://www.internazionale.it/news/da-sapere/2013/04/30/cose-limu-e-gli-altri-paesi-in-europa-la-pagano/ Per saperne di più Il testo del decreto “salva-Italia” del governo Monti, con “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (6 dicembre 2011). Il rapporto del ministero dell’economia e del tesoro sui versamenti dell’Imu nel 2012. Un articolo sull’Imu pubblicato su lavoce.info il 26 aprile, e un articolo del Sole 24 Ore sulle tasse agli immobili nel resto d’Europa.

Wally Bonvicini: il crimine organizzato di Equitalia

domenica 28 aprile 2013

POMODORI “RIVOLUZIONARI”

- VALERIO LO MONACO – ilribelle.com . Intanto non è affatto vero che “la terra è bassa”. Almeno, non così bassa come mi avevano terrorizzato che fosse. Ora mi bastano tre-quattro ore alla settimana: parlo di un piccolo orto, sia chiaro, non di un terreno da arare con i buoi e zappare per giornate intere, naturalmente. E poi a un certo punto è diventata una questione di principio: qualche anno addietro mi sono reso conto che per me, concepito, nato e diventato adulto in città, i pomodori praticamente crescevano dentro al supermercato. Non poteva andare no? E in ogni caso c’è voluto un trentennio, qualche centinaia di libri studiati e sedimentati, una quindicina d’anni da inviato, l’aver conosciuto Massimo Fini e l’aver passato una sera a cena con Maurizio Pallante. Queste le cose determinanti. Il colpo di grazia me lo ha dato Ivan Illich quando ho letto che la modernità ha espropriato, tra le altre cose, la capacità di fare da noi ciò che altrimenti sapremmo fare benissimo. O quanto meno, a giudicare dai miei – parziali, per ora – risultati, non così male. Insomma alla fine mi sono detto che non sarei potuto andare avanti senza aver almeno provato e dimostrato a me stesso di poter fare un orto. Tra la costernazione (iniziale) della mia compagna dunque mi sono messo a cercare un pezzettino di terra al fine di iniziare quello che ho forse troppo pomposamente chiamato, all’inizio, “esperimento di università agraria personale”. Il tutto, sia chiaro, ben prima dello scoppio dei mutui subprime eccetera eccetera. Tanto per essere subito chiari: non credo di essere in grado di dare consigli in merito, e su internet, o in tanti libri, ci sono spiegazioni pratiche su come iniziare e cosa fare anche per i principianti. E se ci sono riuscito io, poi. Che per la cronaca: ci sono riuscito eccome. Non viene fuori tutto, non tutto è proprio bello da vedersi, ma sicuramente è sano, e vero. E cento metri quadri bastano per due persone. Con ampi margini di miglioramento, peraltro. Che l’orto è una scienza, precisiamo. Tra consociazioni, rotazioni e fasi calendario da rispettare e composizione del terreno, sul serio è una materia di studio. L’antico adagio non sbaglia: “contadino, scarpe grosse ma cervello fino”. Ma questo per dire che la pratica dell’orto, più che altro, è una sorta di Zen personale. Di dissidenza diretta dalla società che abbiamo intorno. Insomma è qualcosa che si avvicina molto di più a una esperienza spirituale piuttosto che a una materiale. Per intenderci: non mi chiedete quanto si risparmi, in denaro, a fare un orto rispetto a comperare verdura e ortaggi e patate e il resto al supermercato. Non lo so. Dalla regia mi dicono almeno il 90%, ma davvero, non è questo il punto. Dicevo: sono convinto che l’orto sia oggi una vera e propria rivendicazione culturale. Che poi, a pensarci bene, che cosa è in fin dei conti “cultura” se non la stessa radice di coltivazione e culto, terra e cielo? Torniamo a bomba: il punto all’inizio era soprattutto trovare il tempo per farlo, l’orto. Che non avevo. Ma all’epoca non avevo ben capito che liberare tempo per fare l’orto sarebbe stato in realtà il primo atto in assoluto di “preparazione della terra stessa”. Una sorta di concimazione naturale e necessaria, intima e personale, e propedeutica in fin del conti a tutto il resto. E così per altre cose analoghe. Non so, faccio un esempio a caso. Pallante una sera mi accende la luce: per ogni vasetto di yogurt che comperi, hai prodotto inquinamento per chilometri di tir che te lo portano al supermercato dietro casa, un vasetto di plastica e un coperchietto di alluminio da buttare. Per 125 ml di prodotto ingerito. A un euro e mezzo la coppia, toh, a 0.90 centesimi “in offerta”. Oggi – rigorosamente in bicicletta – vado a 400 metri da qui e prendo un litro di latte crudo alla spina in una bottiglia di vetro, che è sempre la stessa. Lo porto a casa e mischiandolo con un vasetto di yogurt autoprodotto che mi tengo da parte a ogni tornata, ne preparo altri 7 (di vetro, sempre gli stessi). Tempo dell’operazione, tra i sei e i sette minuti in tutto. Costo? Un euro. Per sette vasetti. A consumi, rifiuti, conservanti e inquinamento zero. Anche Zamboni, ogni tanto a casa mia, mi guarda di traverso quando faccio questa operazione serale (ci vuole la notte intera, per far trasformare il tutto in yogurt, ma tanto fa tutto da solo lui, mentre io dormo). Ma Zamboni non mangia yogurt, si può capire. L’unico inconveniente è il pensiero che mi viene in mente e che mi turba, ogni tanto, quando immagino quanti coglioni ci siano che ogni giorno vanno al supermercato e comperano yogurt. Per non parlare delle pubblicità in televisione con le pance che ridono. Ma insomma – e questo è discorso generale – non è che in questa vita possiamo sperare davvero di cambiare la situazione nel suo intero dopo che sono serviti decenni, forse un paio di secoli, per farla arrivare a questo punto, no? Dico quest’ultima cosa perché nelle pieghe di tante conversazioni, anche nei commenti qui sul sito, uno dei temi più ricorrenti si può sintetizzare nella certezza, che i più hanno, di non riuscire a imprimere più di tanto, per quanto ci si impegni e si speri, una rivoluzione generale in grado di cambiare radicalmente la situazione della nostra società. Ora, dovrebbe essere chiaro che sperare in una cosa del genere è condannarsi alla delusione. Come potremmo mai, nell’arco di qualche anno, o di qualche decennio, pensare di sovvertire del tutto un sistema così potente e capillare, militare e ancora di più a livello di immaginario, che ha impiegato secoli per arrivare allo stato attuale? E chiaro che il massimo che si possa sperare è, da una parte, innescare qualcosa che possa arrivare a compimento, o comunque a direzione diversa, per le prossime, due generazioni. E dall’altra parte che, malgrado non si possa sperare di vincere su tutto il campo, in questa vita, esistono però ancora ampi margini di dissidenza. Di parziale, imperfetta, incompleta quanto si vuole e non determinante rivalsa. Ma quei margini ci sono eccome. Insomma se la scelta deve essere tra il tutto, e in tempi rapidi, oppure il niente, allora è persino inutile ingaggiarla, questa battaglia. Se ci poniamo invece nell’ordine di idee di guerreggiare metro per metro, avamposto per avamposto, ribellandoci e dissentendo non appena si può, e magari innescando ciò che un domani altri vedranno finalmente alla loro portata, allora potremo dire di non aver passato invano il tempo che ci tocca in sorte di vivere in questi anni. Dice: ma falla finita con questa storia dell’agro-bio e di “love love love” da figlio dei fiori fuori stagione. Che del denaro, dell’euro-Bce serve sempre, altrimenti come lo paghi il terreno e le tasse che ti ci mettono sopra? E chi lo nega. Anzi direi che tenerlo a mente è utile, perché così si evita di cadere nella trappola di darsi alla macchia e basta. Come dire: sempre tenere a mente che la guerra grande da combattere è l’altra. Volete che non lo sappia? Sintetizzo: lotta dura “contro il sistema”, sempre e comunque, che le cose da estirpare sono i banksters e i loro alleati, non (solo) la gramigna sul terreno. E ci sono milioni di persone da persuadere alla cosa, da convincere, alle quali tentare di aprire gli occhi. Ma intanto? Non vorrete mica che mentre ci battiamo allora perdiamo di vista tutto il resto no? Sintetizzo ancora: mi viene da vomitare quando sento storie di persone che fuggono in campagna e per farlo usano un Suv da 3000 di cilindrata. O quando i tabloid fotografano quella stronza di Michelle che fa l’orto nel giardino della Casa Bianca mentre il marito, dentro alla Casa Bianca, schiaccia un bottone per lanciare bombe sulla testa di altri popoli sulle montagne per conquistare mercati. E mi prudono le mani anche ogni volta, però, in cui sento o leggo qualcuno che sbraita a destra e a manca centrando l’obiettivo, almeno a parole, ma poi non prova nemmeno a fare un millimetro di percorso se al di fuori della strada ben segnata. E allora discerniamo, per favore. Anche il “Che”, suppongo, dopo aver combattuto il giorno intero, la sera qualche schioppettata a un cinghialotto per mangiare la dovrà pure aver tirata no? E non è una questione solo di libro e moschetto. Per quanto, ad avercene di persone così. Ecco, trovato: diciamo che la battaglia totale si deve muovere necessariamente su più piani. Dal libro al bastone alla vanga. Alle bombe. Ma sopra ogni altra cosa, anzi prima di ogni altra cosa, scrolliamo chi rimane fermo immobile ad aspettare. E prima di tutti quelli che rimangono fermi immobili ad aspettare mentre sproloquiano dal pulpito. O dalla poltrona di casa. Non c’è nulla di più lontano, meglio, non c’era nulla di più lontano dalle mie abitudini fatte praticamente di soli studio e scrittura, libri e computer, che fare cose manuali e di autoproduzione come tante cui invece adesso non rinuncio (con aiuti di vario tipo: pane, dolci, conserve, marmellate…). E come ad esempio l’orto. Ogni singolo pomodoro staccato da una pianta che io ho seminato a costo zero e che mi porto a casa nel paniere con la mia bicicletta è una rivincita contro le multinazionali del pelato in scatola. Dico in senso lato. Ma non solo. Contro il padrone datore di lavoro che mi avrebbe voluto invece al tavolo della sua scrivania per guadagnare lo sporco euro che serve per comperarlo, quel pomodoro. Euro sul quale lo Stato mi avrebbe peraltro taglieggiato per ingrassare la speculazione internazionale e che poi avrei utilizzato per andare (di fretta) al supermercato (in automobile che avrei dovuto pagare e mantenere) per potermelo procurare dopo che era stato raccolto da poveracci immigrati schiavizzati e trasportato per tutta la penisola inondando l’aria di veleni che poi sarebbero finiti nei polmoni nostri e in quelli dei nostri figli. Può bastare, per spiegare dal punto di vista pratico l’atto autenticamente rivoluzionario di piantare e far crescere una pianta di pomodoro? Ciò non significa, beninteso, che si debba rinunciare a combattere in modo diretto con le multinazionali e con il sistema che le alleva e da cui si alimenta. Voglio dire che quella è la battaglia con la B maiuscola, e che a questa non rinunciamo affatto. Ma, come detto, se non è forse ancora il tempo dello scontro frontale, è invece assolutamente il momento della dissidenza di base, della ribellione personale e comunitaria. E di campi per questa guerriglia quotidiana, ognuno nella propria vita, ambito per ambito, settore per settore, ce ne sono a bizzeffe. Una azione alla volta. Un metro quadro alla volta. Uno scalpo alla volta. Valerio Lo Monaco Fonte: www.ilribelle.com Link: http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2013/4/26/pomodori-rivoluzionari.html http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=11780

giovedì 25 aprile 2013

Marea nera nel Golfo del Messico, il filmato che la Bp non avrebbe voluto far vedere

- Maria Ferdinanda Piva -
 Nel terzo anniversario della marea nera uscita dal pozzo Macondo della Bp nel Golfo del Messico, vi mostro un filmato che certo la Bp preferirebbe nonfosse mai stato diffuso. Il protagonista è Malcolm Coco, ex proprietario di un’imbarcazione: come tanti altri pescatori fu ingaggiato nei primi giorni della catastrofe per incendiare il petrolio che affiorava in mare. Ha rilasciato un’intervista ad English Al Jazeera. Il video è dopo il “continua”. La piattaforma petrolifera Deepwater Horizon esplose il 20 aprile 2010 e si inabissò due giorni più tardi. La devastante gravità dell’incidente si manifestò poco dopo, non appena il petrolio cominciò ad affiorare inarrestabilmente sul Golfo del Messico. Il pozzo fu turato 86 giorni dopo l’inizio dello sversamento, e cementato definitivamente solo il 19 settembre. Fu il peggior disastro dell’industria petrolifera. Ma secondo Malcolm Coco si riversarono in mare più dei cinque milioni di barili di idrocarburi che rappresentano la stima ufficiale. Ha raccontato ad Al Jazeera (qui il breve articolo abbinato al video) che quando ha cominciato ad incendiare il petrolio – incendi grandi come isolati di una città – gli sembravano i più grandi fuochi mai visti al mondo, ma ogni giorno gli incendi diventavano più grandi. Sempre nell’intervista ha spiegato che non gli fu dato alcun abbigliamento protettivo salvo una tuta. Respirava cioè fumi di petrolio e fumo di petrolio incendiato: ora ha problemi di salute. Ancora: la Bp e la Guardia costiera (la Guardia costiera! non la società coinvolta nell’incidente) cercarono, riferisce, di convincerlo a non fotografare e a non filmare. Del resto molto si parlò, a suo tempo, dei tentativi della Bp di minimizzare l’accaduto e di tenere il più possibile gli occhi del mondo e dei giornalisti lontani dal teatro della tragedia. Malcolm Coco conferma, affermando che il pubblico è stato accuratamente imbrogliato sulla gravità del disastro ambientale. Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2013/04/25/marea-nera-nel-golfo-del-messico-il-filmato-che-la-bp-non-avrebbe-voluto-far-vedere/#ixzz2RTxFGVrC

venerdì 19 aprile 2013

La Francia stampa denaro?

Secondo questo articolo di un giornale economico la Francia potrà stampare denaro: Operazione segreta: Draghi concede alla Francia la licenza per stampare denaro. Sembra che sarà utilizzato una sorta di circuito bancario ombra per impedire alla Germania di interferire con il salvataggio della Francia. La Francia, la Germania…..La stampaccia mainstream e non solo usa i nomi delle nazioni quando si parla di salvataggi bancari o politiche del rigore, fingendo di precisare che non sono decisioni prese liberamente, né in nome dei propri cittadini, bensì SU ORDINE DELLA BANCOCRAZIA. I vari Merkel Hollande etc eseguono ordini, ma non dei propri sudditi. Si usano i nomi delle nazioni come paravento, omettendo di specificare che non si tratta di decisioni, come i tagli e le iniezioni di denaro etc prese a livello nazionale. Eh già perché è prassi da un po’ di tempo a questa parte considerare i popoli ed il loro circuito bancario come una unica inscindibile entità. Non si salvano le banche francesi, ma il popolo francese, a leggere tanti soloni a servizio o sedicenti indipendenti. Secondo tali analisi, se ne evince la strana idea per cui se le banche vengono rimpinzate di euri il rigore si arresta ed i cittadini possono andare felici a prendere soldi agli sportelli, tanto i soldi poi li tirano dietro. Come se l’esempio dei Quantitave easing americani non avesse ben chiarito chi abbia beneficiato di tali iniezioni di danaro. Ho la vaga sensazione che tutto questo abbia più che altro a che fare con il sistema Basilea III, il quale dispone che le banche aumentino la riserva dal 2 al 7% e siccome hanno prestato quello che non possiedono ecco perché sono “in rosso” (per semplificare). Vedere anche EUROZONA: decolla il tasso insolvenza nelle banche Bene, saranno tutti contenti.Il popolo francese sarà salvo. Finalmente la BCE è diventata come la Federal Reserve….il “mostro” Germania è stato sconfitto. La Germania così tignosa nel sostenere che la Bce non può stampare soldi perché così è scritto nello statuto. Cattiva la Germania…manco l’avesse scritto il popolo tedesco questo regolamento. Un’altro ritornello ricorrente è che la Germania (non le sue banche, tutto il popolo ha scientemente deliberato l’attuale assetto delle cose in Europa) sia fissata con l’austerità per salvare le sue banche. Strano, a giudicare da questo azzardo di Draghi, a beneficiare sarebbero proprio le banche FRANCESI. Ammesso che abbia senso tifare per le banche di una particolare nazionalità, quasi si trattasse di associazioni no profit. Vedete la luce in fondo al tunnel? Poco importa se tali iniezioni finiscono dritte nelle banche francesi che non credo gireranno i soldi ai loro correntisti…alla gente. Nell’articolo si parla di una operazione nell’ordine di MILIARDI, pensate che nessuno pagherà per questo nuovo “aiuto”? Se questo è il successo della cosiddetta supervisione bancaria, sfido che Draghi e soci hanno festeggiato…. Intanto Draghi richiama all’ordine i governi….povera Bce, tutto da sola deve fare.. Crisi: Draghi, non puo’ risolverla solo Bce. Governi agiscano (1Upd) 16 Aprile 2013 – 17:17 (ASCA) – Bruxelles, 16 apr – Le risposte anti-crisi non possono essere fornite solo dalla Bce, ma devono arrivare dai paesi membri dell’Eurozona. Lo afferma il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, intervenendo a Strasburgo nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. ”Un ripristino del canale di trasmissione non puo’ dipendere solo dalla Bce, anche i governi devono svolgere il proprio ruolo”. La Bce, aggiunge, ”non puo’ fare tutto per tutti sempre”. Per questo ”abbiamo bisogno degli altri attori: i governi, la Bei e le banche centrali nazionali”. Ecco a voi l’articolo per intero in lingua originale così non vi sono distorsioni di sorta: Geheim-Operation: Draghi erteilt Frankreich Lizenz zum Gelddrucken Deutsche Wirtschafts Nachrichten | Veröffentlicht: 14.04.13, 13:46 | Aktualisiert: 14.04.13, 16:07 Frankreich hat von der EZB die Erlaubnis erhalten, über ein spezielles Anleihen Programm faktisch unbegrenzt Geld zu drucken. Das Geschäft läuft über Schattenbanken und ist eine Milliarden-Blase. Die EZB will verhindern, dass Deutschland sich in die Rettung Frankreichs einmischt. EZB-Chef Mario Draghi hat den Franzosen still und leise die Erlaubnis erteilt, unbegrenzt Geld zu drucken, um die Banken des Landes vor dem Zusammenbruch zu bewahren. (Foto: consilium) In Zypern herrscht helle Aufregung, weil die EZB die zypriotische Nationalbank entmachtet hat (hier). In Frankreich läuft es, unbemerkt von der Öffentlichkeit, genau anders rum: Die EZB hat Frankreich eine unbegrenzte Lizenz zum Gelddrucken erteilt. Die Aktion soll verhindern, dass eine französische Bank kollabiert. Denn das dürfte schon einmal erst im allerletzten Augenblick verhindert worden sein. Ende 2011 gab es eine gemeinsame konzertierte Aktion der mächtigsten Zentralbanken der Welt, darunter die FED, die BOE (Bank of England) und die EZB. Mit einem noch nie dagewesenen Volumen startete die EZB das Longer-term Refinancing Operations (LTRO) und stellte dem Bankensystem in den Euroländern etwa 500 Milliarden Euro zur Verfügung. Wenige Monate später wurden den Banken nochmals etwa die gleiche Summe zum „Anzapfen“ zur Verfügung gestellt. Hintergrund war die Sorge, dass den Banken in der Euro-Zone, die den überwiegenden Teil der eigenen Staatsanleihen besitzen, bei einem Zusammenbruch eines Landes die Puste ausgeht und die gesamte Währungsunion ins Trudeln gerät. Dabei ging es auch um eine französische Bank, die kurz vor einem Kollaps stand. Es wurde nie bekannt, um welche Bank es sich konkret handelte. Seit langem stehen die französischen Großbanken wie Société Générale, Crédit Agricole oder BNP Paribas im Fokus der Bondmärkte. Wie Bloomberg berichtete, musste allein die Crédit Agricole im vergangenen Jahr Vermögenswerte in Höhe von 3,5 Milliarden Euro verkaufen (hier). Inzwischen ist bekannt, dass neben diesem beinahe unendlichen dreijährigen Liquiditätsstrom der LTRO den französischen Banken eine zweite, nahezu unerschöpfliche Finanzierungsquelle zur Verfügung steht, der sogenannte STEP-Markt. Darunter ist ein quasi nicht regulierter Handelsmarkt zu verstehen, auf dem kurzläufige Unternehmens- und Bankanleihen platziert werden. Hier werden Schuldscheine im Volumen von etwa 440 Milliarden Euro gehandelt. Sprich: die französische Bankenwelt hat sich inzwischen äußerst kreativ weiterentwickelt und leistet sich über den STEP-Markt (Short Term European Papers) ein völlig neuartiges, wenn auch kurzfristiges, Kreditschöpfungsprogramm oder auch eine ganz spezifische Lizenz zum Gelddrucken. Der Clou bei dem astreinen Schneeball-Geschäft: 1. Der STEP-Markt befindet sich außerhalb der Börse. Damit gibt es keinerlei Transparenz. 2. Der STEP-Markt ist beinahe ausschließlich auf den französischen Bankensektor ausgerichtet. 3. Französische Banken reichen STEP-Anleihen als Sicherheit bei der Banque de France (französische Nationalbank; Pendant zur Deutschen Bundesbank) ein. 4. Eine sogenannte „Euroclear“-Bank (als Schaltstelle bzw. Buchungszentrale zwischen Banque de France und französischen Banken) hinterlegt ebenfalls STEP-Papiere als „Sicherheit“ bei der EZB. 5. Die Banque de France (französische Nationalbank) wiederum reicht Ausfallrisiken der als Sicherheit hinterlegten STEP-Anleihen bei der EZB ein. Dabei darf es sich selbstverständlich auch um minderwertigere Papiere handeln. Solange die französische Nationalbank schützend ihre Hand darüber hält, spielen solche Machenschaften eine untergeordnete Rolle. Denn offenbar werden auch Papiere mit der Note BBB angenommen und bei der EZB hinterlegt. Draghis Stück aus dem Tollhaus Die EZB wiederum, die in Zukunft die Kontrolle über sämtliche Euro-Banken erhalten soll, kann selbst keinerlei Daten über den STEP-Markt erheben und bekommt die Daten nur auf Umwegen über die französische Nationalbank (Banque de France). Wobei letztere wiederum auf Quellen Dritter angewiesen ist, die selbst Player am Markt sind. Das bedeutet im Umkehrschluss: Es findet Geldschöpfung für französische Banken unter Schirmherrschaft der Banque de France ohne Kontrolle der EZB statt. Ein Stück aus dem Tollhaus. Mit geschätzten 445 Milliarden Euro kontrollieren die französischen Banken über den STEP-Markt einen beträchtlichen Teil des Schattenmarkts für Zentralbankfinanzmittel. Dabei sind die kurzfristigen Geldbeschaffungsmaßnahmen nicht ausschließlich auf französische Banken beschränkt. Die Banken im Euroraum handeln untereinander mit STEP-Papieren und können sie ebenfalls bei der EZB zur Liquiditätsschöpfung hinterlegen. Jenseits eines regulierten Markts ist dies eine der Möglichkeiten, an billige Kredite der EZB zu kommen. Interessant in diesem Zusammenhang: Den oftmals heftig diskutierten Ankäufen von Staatsanleihen durch die EZB im bisherigen Umfang von etwa 200 Milliarden Euro –wofür sich die EZB bereits den Titel „Bad-Bank“ eingehandelt hat – türmen sich Kreditschulden der europäischen Banken bei der EZB in Höhe von etwa 1.300 Milliarden Euro. Mario Draghi ist sich bewusst, dass diese Aktion nicht ganz koscher ist. Er sprach in der Vergangenheit davon, dass „mehr Transparenz“ nötig sei und dass man „die Sache (STEP-Markt) sehr ernst nehmen“ müsse. Dagegen unternommen hat er nichts. Aus gutem Grund. Die EZB hat Frankreich mit dem STEP-Programm eine Möglichkeit gegeben, die eigenen Banken zu stabilisieren, ohne dass Deutschland etwas dagegen unternehmen kann. Das Programm soll offensichtlich dazu dienen, den Franzosen Zeit zu kaufen, bis es zur Banken-Union kommt. Diese war ursprünglich 2018 geplant, jetzt will die EU die Einführung auf 2015 vorziehen. Danach kann die Banken-Rettung in Europa künftig über die Sparer und Aktionäre erfolgen. Bis es dazu kommt, entsteht in Frankreich unterhalb des Radars eine neue, gigantische Finanzblase. Deutschland muss ohnmächtig zusehen, wie das geschieht. Bundesbank-Chef Jens Weidmann darf Sonntagsreden halten – mehr nicht. Die Aktion zeigt, dass die Süd-Fraktion in der EZB im Hintergrund bereits weitgehend die Kontrolle über die Gestaltung Europas übernommen hat. Fonte Fonte: http://dadietroilsipario.blogspot.it/2013/04/la-francia-stampa-denaro.html http://www.stampalibera.com/?p=62162

USA: VELENI NEI CIELI ITALIANI

- Gianni Lannes - Diario di bordo. Non solo terremoti artificiali scatenati per ordine del governo USA, che hanno preso di mira l’Italia, ma su cui incombe un segreto ferreo. Le parole si impigliano nella pagina: sale sempre più la rabbia incontenibile. Con l’aerosolterapia bellica si attenta quotidianamente alla vita di milioni di persone ignare della situazione, grazie alla complicità dello Stato italiano ai massimi vertici, a partire dal presidente della Repubblica uscente, mister Giorgio Napolitano. Per la cronaca: un decennio fa, l’allora primo ministro piduista (tessera numero 1816) Silvio Berlusconi ha firmato senza alcun mandato del popolo sovrano, un accordo con il governo degli Stati Uniti d’America, per una sperimentazione climatica di geo-ingegneria ambientale nel nostro Paese. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi e dentro i nostri polmoni, mentre potenti e ricconi acquistano bunker dove rifugiarsi prima della catastrofe finale. Venerdi 12 aprile: sbarco a Messina. Lascio il mar Jonio dilaniato dai giochi di guerra del Patto Atlantico, perfino sulla pericolosa “Scarpata di Malta” (l’area sismica più fragile della Penisola italiana), e proseguo il mio viaggio diretto a Cosenza. L’indomani presenterò il libro TERRA MUTA. Attraverso lo Stretto e saluto amici e conoscenti a Reggio Calabria, dove le onde elleniche incontrano e si fondono a quelle latine. Nell’aria danza l’inquietudine dell’impotenza apparente. Italia, anno 2013 – scie chimiche – foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) Ore 10 del mattino: il cielo è solcato da una miriade di velivoli militari che diffondono scie di misture chimiche a base del tossico bario. Questi aerei della NATO hanno i trasponder disattivati per non farsi riconoscere e identificare dal sistema radaristico civile. Ma si vedono ad occhio nudo perché volano a non più di 2 mila metri di altitudine, sfiorando lo sguardo anche dei più distratti e perfino dei negazionisti più dementi che forse non hanno più nulla di umano. Italia, anno 2013, scie chimiche – foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) Qualche giorno fa sul Tirreno cosentino si è arenato un gigantesco capodoglio. L’intensificarsi degli spiaggiamenti di cetacei e tartarughe caretta caretta, come non mai prima, fa sorgere diversi dubbi. L’esemplare morto sul lido di Cittadella del Capo era lungo 16 metri e pesava circa 20 tonnellate. I biologi marini incaricati dal comune di Bonifati hanno prelevato i tessuti per esaminarli, prima che la carcassa finisse incenerita in un “cancro-valorizzatore” del salernitano. Questo caso non ha precedenti a memoria umana in Calabria. Il caso più eclatante che si rammenti si è consumato nel dicembre dell’anno 2009tra lo Jonio e l’Adriatico. Sulle spiagge del Gargano, esattamente sull’istmo di Varano, andarono a morire ben 7 capodogli in fuga. Gli esami scientifici hanno rivelato, smentendo clamorosamente le menzogne dei soliti esperti accademici e di Stato, che sono deceduti a casa di un’embolia gassosa a livello coronarico. Ergo: sul banco degli imputati ci sono le attività belliche degli anglo-americani. Ne avevo già scritto a suo tempo, sul giornale ITALIA TERRA NOSTRA, con dovizia di prove. In sintesi: nel 2013 in tutta la Calabria si sono già spiaggiati addirittura 20 cetacei. Soltanto tra Amantea e Tortora si sono arenate una decina di tartarughe. Nella stessa zona, lo scorso anno non si è verificato neanche un episodio di questo genere. Nel frattempo, le autorità civili tranquillizzano alla stregua degli ambientalisti locali e nazionali, mentre i militari tacciono. I politicanti, grullini compresi? Non pervenuti. Come sempre. A mezzogiorno approdo nella città che a buon titolo è definita l’Atene di Calabria. Il cielo è lattiginoso, nonostante un sole folgorante che apre spiragli e barlumi singhiozzanti di energia. Gargano, anno 2009 – capodoglio spiaggiato – foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) Almeno 4 aerei dell’Alleanza atlantica incrociano l’orizzonte cosentino – in direzione nord-sud – accanendosi a ripetizione proprio sull’ignara città e suoi inconsapevoli abitanti. Saluto l’amico Walter Pellegrini: un coraggioso editore del Sud. E anche lui alza lo sguardo al cielo ormai plumbeo. Medesimo copione il giorno seguente: aerei che intossicano di veleni il respiro di chiunque, soprattutto i più indifesi, ovvero i bambini d’Italia. Domenica mattina (14 aprile) riparto in auto verso la Puglia. Attraverso il nord della Calabria, accarezzo con gli occhi il Pollino, martoriato dai sismi bellici. Gli aerei militari sfrecciano ovunque: l’azzurro è solo il pallido ricordo del passato. Sosta per un caffè a Sibari. Un’occhiata a Capo Spulico e riprendo il tragitto passando accanto al centro nucleare Enea della Trisaia, subito dopo Nova Siri, ossia un’area contaminata dalle radiazioni. Policoro, Scanzano, Metaponto si susseguono passive lasciando intuire i brandelli della Magna Grecia. Autostrada a Massafra, dove si staglia l’ennesimo inceneritore illegale di rifiuti della Marcegaglia,in fase addirittura di ampliamento. Passo vicino alla base aerea di Gioia del Colle: trampolino di lancio per innumerevoli guerre: in particolare in Jugoslavianegli anni ’90. Tappa finale: il porto di Manfredonia. E’ morto un altro pescatore a causa di un cancro improvviso. Aveva solo 48 anni e famiglia numerosa. Mangio un boccone con un fidato gruppo di lavoratori del mare, decimati dai decessi senza preavviso e dagli incidenti causati dal ripescaggio frequente di ordigni chimici e radioattivi, disseminati dalle forze armate di USA, GB e NATO. In serata mi imbarcherò per l’isola di Lissa. Fino alle 18 il cielo è così terso e vivido che puoi specchiarti. La luce che tanto aveva affascinato Federico II di Svevia (puer apuliae) è abbagliante. La bellezza dei luoghi è così struggente da emozionare anche i sassi. Alle 18,30 circa, tuttavia, l’incanto si dissolve. Infatti, compaiono tre velivoli NATO che inondano l’atmosfera locale con le pericolose e famigerate scie. Davanti al faro della marina sipontina si erge un antico castello. Accanto al possente complesso storico un nugolo di bambini gioca festoso ed ignaro dei pericoli. Per più di un’ora, le minacce alate sorvolano la Capitanata, impestandola di veleni. Il copione è lo stesso per tutto il resto d’Italia (comprese le isole) e gran parte del mondo. Cosa fare per distruggere questa camera a gas planetaria? Se non fossi un convinto assertore della lotta nonviolenta, avrei già fatto di tutto per cominciare ad abbatterne a scopo dimostrativo più di qualcuno di questi aerei di morte. Dalle parole ai fatti. A parte la fondamentale informazione documentata e rigorosa sul fenomeno. Ora occorre un’azione eclatante. Non sarebbe male, occupare in massa qualche aeroporto – da cui decollano ed atterrano questi mostri che gradualmente attentano alla vita dell’intera nazione – gestito sulla carta dalla venduta Aeronautica militare italiana, complice a livello dello Stato Maggiore di questo massiccio avvelenamento di massa. Le acque piovane italiane, come risulta dalle analisi, sono contaminate in particolare dal bario e dall’alluminio. A proposito: c’è un giudice almeno a Berlino? In uno dei miei ultimi discorsi pubblici, tra la gente c’erano due magistrati italiani a prendere appunti. Spero bene. Perché se non sarà prontamente, a brevissimo periodo la magistratura ad intervenire iniziando a sequestrare i velivoli a terra, allora saranno padri e madri di famiglia a fare ben di più. Su la testa: non siamo cavie! E’ l’ora di combattere e sconfiggere sul campo questi assassini e criminali in divisa altolocata e doppiopetto di potere. video: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0GrspMZJoyE http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=TBIf_8Rm5a4 http://www.youtube.com/watch?v=T9BIHbYXA3c&feature=player_embedded riferimenti: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=scie+chimiche http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=guerra+ambientale http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/04/usa-veleni-nei-cieli-italiani.html

Informazioni sui presunti bombaroli di Boston che non troverete sul Corriere della Sera

a cura di Stefano Fait per IxR Primi tentativi di stabilire un legame con l’Iran (l’Occidente appoggia ufficialmente gli jihadisti ceceni e quelli “siriani”, ma questi “jihadisti” ceceni sono mandati dall’Iran!) http://www.wnd.com/2013/04/boston-bombers-followers-of-irans-ayatollah/ ****** I due fratelli, di nazionalità turca, ottengono un permesso di residenza negli Stati Uniti e vi risiedono dal 2002. Il più grande si allena con successo come pugile e sogna di battersi alle Olimpiadi con i colori americani. L’altro, che ha trascorso la maggior parte della sua vita negli USA, ottiene una borsa di studio per un istituto esclusivo ultraliberale già frequentato da Matt Damon, vuole diventare un infermiere (!) e intanto fa il bagnino per “salvare vite umane, perché è questo che mi rende felice”. L’11 settembre 2012 diventa cittadino americano. Perché diamo per scontato che si mettano ad uccidere altri americani a casaccio, senza alcuna ragione? ***** Il mero fatto che siano musulmani è diventato il loro movente. ***** Il più giovane è convinto che la versione ufficiale dell’11 settembre sia falsa. L’11 settembre è quella suggestiva favoletta per cui dei pivelli dediti all’alcool, alle droghe, alle spogliarelliste ed al gioco d’azzardo decidono di unirsi ai fondamentalisti islamici di Al-Qaeda e, pur essendo incapaci di far volare decentemente un Cessna, riescono a colpire con precisione chirurgica 3 obiettivi su 4 nello spazio aereo meglio difeso del mondo pilotando dei giganteschi Boeing senza commettere il minimo errore. Fortunatamente per il genere umano la maggior parte degli abitanti di questo pianeta è scettica: http://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/22/perche-una-maggioranza-di-persone-nel-mondo-non-crede-alla-versione-ufficiale-dell11-settembre/ http://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/11/ferdinando-imposimato-sull11-settembre-e-sul-rischio-di-un-altro-11-settembre-in-inglese/ ***** Sempre il più giovane – descritto da amici e compagni di scuola come un “angelo ambulante” (walking angel) spiegava su twitter che in due settimane aveva avuto 3 incubi in cui gli Stati Uniti erano invasi dagli zombie, cominciava a sospettare che stesse per accadere qualcosa di grosso (infatti: l’hanno ucciso) e aggiungeva che se avesse potuto si sarebbe trasferito altrove. Il giorno dell’attentato avvertiva i suoi conoscenti: “Non c’è amore nel cuore di questa città. Restate al sicuro”. Il suo allenatore lo ricorda come un ragazzo adorabile, gioviale, atleta formidabile e gran studioso, grato di aver potuto intraprendere gli studi http://www.dailymail.co.uk/news/article-2311580/Boston-bombing-suspects-brothers-Dzhokhar-A-Tsarnaev-Tamerlan-Tzarnaev-links-Chechnya.html Però i media riportano ossessivamente solo una frase: “mi interessano solo i soldi e la carriera” pubblicata su un account del facebook russo. ***** Sono morti entrambi, non ci sarà un interrogatorio, non ci sarà un processo, non sapremo mai la loro versione dei fatti. Ci dovremo fidare della versione ufficiale. Come nel caso di Osama Bin Laden. ***** Questi due ragazzi portavano due pentole a pressione negli zainetti, ma dalle immagini non sembra che gli zainetti fossero pieni e pesanti. Compiono un attentato terroristico a viso scoperto, come se volessero farsi identificare facilmente. Poi rimangono diversi giorni nei paraggi dedicandosi ai piccoli furti (perché? Non sono poveri). Non hanno pensato ad un piano di fuga? Non si preoccupano della caccia all’uomo? Non immaginano di poter essere abbattuti da poliziotti dal grilletto facile? Non cercano neppure di nascondersi? Non cambiano vestiti, aspetto? Rubano un’auto giusto per farsi individuare? È un film hollywoodiano? ***** La madre afferma che il figlio maggiore era in contatto con l’FBI per almeno 3 anni Salvo tre eccezioni, tutti i complotti terroristici sul suolo americano dopo l’11 settembre 2001 sono stati organizzati grazie ad infiltrati FBI che hanno istigato, informato ed equipaggiato degli estremisti per poi sventare gli attentati (ricerca dell’Università di Los Angeles): http://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/21/lfbi-organizza-e-sventa-la-maggior-parte-degli-attentati-terroristici-islamici-sul-suolo-americano-ricerca-della-ucla/ ***** Una delle maggiori città americane viene militarizzata (inclusa una no-fly zone e mezzi blindati nelle strade). Nulla del genere era successo a Washington per il cecchino di qualche anno fa: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/03/10/usa-condannato-morte-il-cecchino-di-washington.html ***** Effetti di questo attentato terroristico sull’immaginario americano: anche degli studenti modello possono essere radicalizzati; questo può accadere anche senza che entrino in contatto con una rete di fanatici; l’islam è un virus terribile che, in pochi mesi (pochi giorni o forse ore nel caso del più giovane), trasforma due ragazzi normali che non hanno mai dato problemi a nessuno in macchine di morte; è sufficiente avere accesso ad internet; su internet puoi anche imparare come farti in casa delle bombe e come maneggiare armi ed esplosivi senza farsi del male; su internet puoi imparare come sfuggire per ore a migliaia di poliziotti con la migliore assistenza tecnica disponibile; nessuno può sentirsi al sicuro, tutti possono essere dei potenziali terroristi, anche persone che conosci da tempo e che si comportavano così amabilmente e premurosamente; ***** Questa storia è anche più assurda di quella del terrorista di Tolosa http://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/23/cose-successo-a-tolosa/ ***** La strategia della tensione è una tattica che mira a dividere, manipolare e controllare la pubblica opinione usando paura, propaganda, disinformazione, guerra psicologica, agenti provocatori ed azioni terroristiche di tipo false flag. L’espressione è stata ripresa dalla traduzione letterale dell’inglese strategy of tension, utilizzata dal settimanale The Observer in un articolo del dicembre 1969, per definire la politica degli Stati Uniti, con il fattivo appoggio del regime militare greco, tesa a destabilizzare i governi democratici delle nazioni con particolare valenza strategica nell’area mediterranea, nella fattispecie Italia e Turchia, attraverso una serie di atti terroristici, allo scopo di favorire l’instaurazione di dittature militari. Alla strategia della tensione sono inoltre riconducibili tentativi di colpo di stato, organizzazioni segrete eversive, e infiltrazioni di provocatori in movimenti avversi alla destra. http://it.wikipedia.org/wiki/Strategia_della_tensione ***** Meglio non essere negli USA intorno alla metà di aprile: 19 Aprile 1993: massacro di Wako. 19 April 1995: bomba alla sede dell’FBI di Oklahoma City. 20 aprile 1999: Columbine. 16 aprile 2007: Virginia Tech 15 aprile 2013: Maratona di Boston Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2013/04/19/informazioni-sui-presunti-bombaroli-di-boston-che-non-troverete-sul-corriere-della-sera/#axzz2Qx22ZdTQ

Perché la Cina sta costruendo città fantasma in Africa?


citta fantasma cina
I palazzinari cinesi si stanno dando molto da fare in Africa. Nova Cidade de Kalimba è una moderna città africana costruita da investitori cinesi in Angola e composta da circa 750 edifici di otto piani.
Nei progetti degli investitori, la città doveva raccogliere circa 500 mila abitanti, ma un inquietante filmato mostra come la selvaggia urbanizzazione cinese rischia di creare la prima “città fantasma” dell’Africa.
Il costo dell’operazione si aggira sui 2,5 miliardi di euro, ma si tratta solo di una frazione del fiume di denaro che la Cina sta investendo in Africa. A questo punto, la domanda è semplice: perchè i cinesi sono così interessati al territorio africano?
Costruita alla periferia di Luanda, la capitale angolana, Nova Cidade de Kalimba, oltre ai 750 blocchi di appartamenti, conta una dozzina di scuole e più di 100 locali commerciali, ma non ci sono abitanti! Come mai? Pare che il prezzo di un appartamento si aggiri sui 90 mila euro, una cifra esorbitante rispetto al magro reddito medio della popolazione locale che ancora vive nelle baraccopoli.
Nonostante l’enorme quantità di appartamento invenduti, Nova Cidade de Kalimba è solo una delle tante città “fantasma” che la Cina sta costruendo in tutto l’Angola e in tutto il continente africano. Negli ultimi dieci anni, la Cina ha pompato miliardi di euro, e il trend non mostra il minimo segno di rallentamento.
Come riporta il Daily Mail, numerose “Chinatown” stanno nascendo in tutta l’Africa, dalla Nigeria alla Guinea equatoriale, nel Ciad, nel Sudan, ma anche in Zambia, Zimbawe e Mozambico. Insomma, la Cina considera il continente nero un investimento cruciale per il futuro, stringendo una vera e propria morsa sul continente dal sapore “neocoloniale” che in futuro potrebbe fare dell’Africa un continente satellite.
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“I cinesi sono dappertutto”, dice Trevor Ncube, un importante uomo d’affari africano con interessi editoriali di tutto il continente. “Se in passato gli inglesi sono stati i nostri maestri, oggi i cinesi hanno preso il loro posto”.
A questo punto, è lecito chiedersi se le misteriose città fantasma siano destinate realmente agli africani. Secondo gli analisti internazionali, ormai non è più mistero che i governanti cinesi considerino l’Africa come l’unica soluzione ai problemi di sovrappopolazione e alla imminente scarsità di risorse di risorse naturali.
I cinesi rappresentano un quinto della popolazione terrestre e hanno fame di cibo, terra e energia. Negli ultimi dieci anni, il consumo di petrolio è aumentato di 35 volte e le importazioni di acciaio, rame e alluminio divorano circa l’80% delle forniture mondiali.
Empty: It was supposed to be a state-of-the-art city for 500,000 - but eery footage shows how a Chinese-built urbanisation is at risk of becoming Africa's first 'ghost town'
Hopeful: But the sellers remain optimistic that sales will pick up
Alone: A single jogger runs past empty apartment blocks in Sesena, where 30,000 people were due to live
La popolazione cinese si è praticamente triplicata negli ultimi cinquant’anni, passando da 500 milioni di individui a 1,3 miliardi. E’ per questo motivo che il governo di Pechino ha lanciato il programma politico “Una sola Cina in Africa”, una sorta di lotteria nazionale per lasciare il paese e stabilirsi in un nuovo continente.
Nella disattenzione totale di tutto il mondo, l’incredibile cifra di 750 mila cinesi si è già trasferita in Africa negli ultimi dieci anni. La strategia è stata accuratamente messa a punto dai funzionari cinesi, i quali hanno stimato che la Cina ha la necessità di inviare in Africa 300 milioni di persone per risolvere i problemi di sovrappopolazione e inquinamento.
La bandiera rossa cinese avanza
L’avanzata cinese sembra inarrestabile: ambasciate e nuove rotte commerciali si stanno aprendo tra i due paesi, mentre la nuova elìte cinese stanziatasi in Africa comincia a farsi notare in tutto il mondo, acquistando oggetti preziosi nelle boutique, guidando le loro esclusive BMW e Mercedes e mandando i loro figli in esclusive scuole private.
Le pessime strade africane sono sempre più ingombre di automezzi cinesi che riempiono i mercati africani di prodotti a basso costo. Gli indumenti venduti nei mercati del continente ormai riportano quasi sempre la scritta “Made in China”.
Migliaia di chilometri di ferrovie sono state costruite dai cinesi per il trasporto di miliardi di tonnellate di legname tagliato illegalmente: foreste incontaminate sono state distrutte per coprire il fabbisogno di legname della Cina che equivale al 70% di tutta la produzione Africana. Inoltre, il territori è stato sventrato per l’estrazione di diamanti e oro.
schiavi-africani.jpgLe gigantesche miniere cinesi sono piene di “schiavi” africani che estraggono i preziosi minerali a meno di 1 dollaro al giorno. In Angola, il governo ha deciso che il 70 per cento dei lavori pubblici deve andare alle imprese cinesi, la maggior parte delle quali non impiega personale angolano.
Ma la colonizzazione non è solo economica, ma anche culturale: numerosi centri culturali finanziati dallo Stato Cinese, denominati “Istituto Confucio”, stanno sorgendo in tutta l’Africa, con lo scopo di insegnare alla popolazione locale come fare affari in lingua e stile mandarino e cantonese.
Inoltre, esclusivi ristoranti che servono solo cibo cinese, e dove non sono ammessi i neri, stanno sorgendo in ogni angolo del continente.
Un prezzo salatissimo per l’Africa
Vi è un aspetto sinistro di questa invasione cinese, un prezzo troppo alto da pagare per la popolazione africana. La Cina ha interesse, tra l’altro, a fomentare le guerre civili tra le popolazioni africane, vendendo così milioni di dollari di armi prodotte dalle aziende cinesi.
Naturalmente, tutto questo avviene in collaborazione con i corrotti leader africani, i quali, dopo aver ottenuto l’indipendenza dalle potenze coloniali dei bianchi, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania, sono felici di fare affari con la Cina per un semplice scopo: i soldi!
Se i governi democratici dell’occidente sembrano molto più insistenti nel chiedere all’Africa le riforme democratiche e la necessità di più “trasparenza” nell’uso del denaro (termini diplomatici per evitare che i dittatori intaschino i milioni destinati alla popolazione), i cinesi sono molto più rilassati rispetto alla questione, decidendo di chiedere un occhio, a volte anche tutti e due, rispetto al reale utilizzo dei soldi da parte dei governi africani.
africa-povert%25C3%25A0.jpgIl comportamento della Cina non fa altro che alimentare il cancro della corruzione. Pazienza se si alimenta la povertà in un continente che conta ben 800 milioni di persone che vivono in condizioni estreme di miseria.
Ma i cinesi sono sprezzanti di tali critiche. Per essi, secondo il loro spirito pragmatico da locuste, l’Africa è solo una risorsa da sfruttare finchè dura, e non un luogo dove garantire i diritti umani. Non a caso, questo atteggiamento è accolto con grande favore da parte dei dittatori africani.
Ma quello di cui hanno bisogno gli abitanti di questo meraviglioso continente, dove emersero i primi ominidi dalla Great Rift Valley, è un disperato bisogno di progresso e i cinesi non sono qui per questo. Sono qui per rapinare un paese ricco di spazio e di risorse naturali.
Quando finirà la predazione? Finchè Pechino ne troverà vantaggio: i cinesi non si fermeranno fino a quando in Africa non ci saranno più minerali o petrolio da estrarre. Dopo secoli di dolore, guerra e fame, l’Africa meriterebbe decisamente di meglio.